Enrico il birraio racconta come è nata la nostra stout
Quell’afoso agosto cercavo solo un luogo in cui stare al fresco e respirare. Pensai subito all’invito in sospeso di un amico che come me aveva poche certezze; una di queste era che per fare la birra servono acqua, malto, luppolo e lievito. Steve abitava a Guiglia, il cosiddetto “Balcone dell’Emilia” nell’appennino modenese, un borgo immerso nel parco Naturale dei sassi di Roccamalatina.
Correva l’estate del 2007 e in quegli anni le birre scure ad alta gradazione iniziavano a scorrere a litri nei pub bolognesi e nel resto d’Italia. Era un lunedì pomeriggio e sotto la cappa di caldo umido decisi di preparare lo zaino con tutto l’occorrente per ritirarmi in collina. Era giunto il momento di iniziare a studiare i malti tostati.
Quando arrivai mi parve d’essere in un film fantasy con quei panorami mozzafiato. Mi trovai in cima alla collina, la casa era su due piani, al primo abitava Steve mentre al piano terra c’era una stanza e un bagno. Sul retro il sogno di ogni homebrewer; un piccolo birrificio con tutto l’occorrente.
L’atmosfera onirica era da sogno ad occhi aperti e quella sera mi addormentai con il sorriso. L’aria fresca entrava dalla finestra e mi accarezzava il viso poi, come in ogni film fantasy, mi trovai nel mezzo di uno sciame di volatili famelici non precisamente identificati. Uno sciame di pappataci mi colse all’improvviso proprio mentre stavo sognando la ricetta della stout perfetta. Era un sogno o un segno?
I giorni seguenti mi capitò tra le mani un libro in inglese che parlava di come fare la birra in casa, una vera rarità all’epoca. Tutto quello che mi stava capitando indicava una direzione sempre più chiara. In quei giorni sfogliai il libro, di cui purtroppo non ricordo il titolo, e la mia attenzione fu attirata da alcune ricette di Imperial Russian Stout. Da homebrewer apprendista mi misi a osservare Steve, lo stregone alchimista da cui ho imparato tanto e quello zaino con poche magliette tornò a San Giovanni in Persiceto pieno di idee e voglia di cuocere. Durante il viaggio di ritorno dagli altoparlanti della mia auto usciva Lontano dal Tuo Sole di Neffa, già si prefigurava il nome della birra nata da questa esperienza un po’ metafisica e meditativa.
La Tenebra oggi uguale a ieri
Al mio ritorno iniziai subito a mettermi alla prova ma il risultato non fu soddisfacente, la prima cotta mancava di carattere. Aumentai i malti tostati e l’amaro con l’aggiunta di luppoli inglesi. Il carattere senza compromessi iniziava a consolidarsi con una percentuale molto alta di malti tostati. Volevamo doppiare la famosa stout irlandese, nel carattere, nei malti e nel grado alcolico. Ecco come è nata la stout di Vecchia Orsa. Nel 2009 riscosse subito un grande successo e, non avendo mai cambiato la ricetta, la Tenebra si posiziona oggi come una pietra miliare del birrificio.
Al naso emergono marcate note torrefatte di caffè, liquerizia e sfumature di cacao. Al palato un gusto deciso e torrefatto ma dalla bevuta scorrevole. Il grado alcolico dà una sensazione di calore che viene stemperata dall’amaro importante per chiudere di nuovo con sensazione di liquerizia e caffè. Con la Tenebra hanno preso vita altri progetti gustosi e, per restare in tema, meditativi! Ma questa è un’altra storia…
Vecchia Orsa è l’impresa sociale di Arca di Noè; ogni giorno favoriamo l’inserimento lavorativo di persone disabili. Per noi è soprattutto grazie al lavoro che ogni persona edifica la propria dignità, espressione e autonomia.
Illustrazioni: Alessandra Manfredi e Andrea Niccolai
Articolo a cura di Michele Cattani tratto dalla storia vera di Enrico Govoni